Analisi del 2014

I folletti delle statistiche di WordPress.com hanno preparato un rapporto annuale 2014 per questo blog.

Ecco un estratto:

Un “cable car” di San Francisco contiene 60 passeggeri. Questo blog è stato visto circa 1.800 volte nel 2014. Se fosse un cable car, ci vorrebbero circa 30 viaggi per trasportare altrettante persone.

Clicca qui per vedere il rapporto completo.

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CARBONI ACCESI/ Poema visuale di Giovanni Bonanno

G. A. Cavellini, operazione_video_tape_a_new_york, 1982_2 

“ Carboni accesi ”
(Poema visuale dedicato a Guglielmo
Achille Cavellini in occasione del Centenario
del 2014)

Muri caduti,
arie sottili aleggiano vivide nel buio cupo della notte,
inseguono curiose primavere andate
prima di svanire all’improvviso.
Ho attraversato labirinti oscuri che non mi fanno più dormire.
Solo i ricordi non hanno peso.

Camminare a passi stretti,
cerco invano tracce di senso da dare alla mia esistenza,
mi trascino i miei cinquantacinque chili di ossa
annegati dentro una casacca di carne.
Tutt’intorno il silenzio.

L’arte è la mia vita,
buste bianche, timbri, francobolli
e un vecchio orologio appeso a scandire le mie ore.
Bisogna raccontarsi per frammenti
da conservare dentro anonime casse di legno.
L’occhio del ribelle non ha più voglia di vedere.

L’eco della mia voce rimbomba sorda,
a ferragosto ho strisciato lungo i margini senza uscita di un ascensore
e ho raccolto i miei pensieri che sembravano ortiche disseccate al sole.
Non mi guardo più allo specchio per non vedere la mia faccia.

Camera 61,
anche i sogni hanno finito di calpestare la putrida melma,
sono come macigni appesi che si consumano all’improvviso.
Ho accarezzato persino il nulla per non udire la vanità degli uomini
e mi sono trovato solo dentro un letto a S. Orsola.
Il sistema mi ha messo in croce.

Camminare stanca.
Ormai i ricordi sono come carboni spenti
in una triste giornata di dicembre,
ti accarezzano e poi fugaci svettano via lontano.
Se ti lasci andare puoi vedere anche tu la bava del tiranno disseccarsi al sole.
Tento invano di toccare la mia carne.
Capisco di essere solo.

© Giovanni Bonanno
31 luglio 2014

GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI 1914-2014

GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI 1914-2014
Siglare nelle opere la data che celebra il proprio Centenario è stata una delle peculiarità nell’attività di Guglielmo Achille Cavellini a partire dal 1971, anno in cui decise che attraverso un meccanismo di Autostoricizzazione gli sarebbe stato permesso di incidere sull’identità dell’artista quasi sempre fuorviata e repressa da un sistema incapace di intenderne le libertà. Azione questa che lo portò a destrutturare le condizioni del sistema stesso per condurle, a suo piacimento, in un ambito creativo nuovo che a molti parve un eccesso di megalomania ma che un contesto internazionale attento e desideroso di un cambiamento di queste condizioni acclamò come una nuova via dell’arte che, a partire da allora, l’avrebbe riavvicinata alla vita reale spostandola dalla rigidità evoluzionista in cui ancora si dibatteva, nonostante gli sforzi delle Avanguardie storiche del primo Novecento. Un’anticipazione questa che precorre un concetto di liquidità sociale applicata allo specifico che sembra prevalere nell’analizzare il sistema complessivo della nostra epoca. Tutto ciò per partire dalla fine e da quel work in progress che non senza un poco di meraviglia è vicino a concludersi ma la storia di GAC artista, usando l’acronimo con cui si firmava nel quale si specifica la sua formula comunicativa, ha ben più complessi antecedenti che di quell’atto finale sono un incipit molto più coerente di quanto non si possa pensare. Il suo avvento sulla scena dell’arte, ormai documentato da numerose biografie e autobiografie, si concretizza nell’incontro con Emilio Vedova a Venezia davanti alla Tempesta del Giorgione e da allora ne è stato un continuo attraversamento attuato da un arbitro speciale, non un artista come tanti altri con la sua piccola o grande innovazione, uno stile, ma un individuo che conduce un giudizio illuminato, prima sulla sua generazione e poi sul resto del mondo e sulle trasformazioni che ha prodotto fino a che è stato in vita.

Credo sia questo l’unico modo per coglierne la presenza, senza fraintendimenti sulla questione dei ruoli e sui cambiamenti di stato che sono un argomento stantio nel definire un comportamento che stava ormai nel futuro. Con quell’incontro del 1946 scopre una nuova arte astratta europea, capace in un attimo di far svanire nel nulla i suoi primi tentativi espressivi autodidatti che, rivisti oggi, testimoniano la sua innata artisticità, e ci volle poco perché decidesse che fosse più producente farsene paladino per metterla in luce verso il mondo piuttosto che continuare l’apprendistato su argomenti che stavano oramai fuori da quella contemporaneità. Basterebbe questo atteggiamento per decidere di escluderlo dalla storia del collezionismo per introdurlo nella storia dell’arte. E’ questo il suo primo giudizio, un giudizio da artista che, liberato dai propri fantasmi, sceglie di articolare la sua presenza all’interno dell’esperienza generazionale che forniva le novità più pregnanti con cui era venuto improvvisamente in contatto. E’ per ciò che parlo di giudizio, come poi avverrà per il resto delle sue frequentazioni e si tradurrà in quel lavoro in fieri di cui si è detto, portandolo al punto di creare un piedistallo per l’arte degli altri come fosse la sua o quella che non avrebbe avuto bisogno di fare perché già in atto in un contesto che trovava più producente condurre piuttosto che partecipare. Fin qua il primo atto che, condotto in porto con la pubblicazione del libro Arte astratta e con l’esposizione di una selezione delle opere presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma nel 1957, ne aprì un altro dove degli altri colleghi non aveva più bisogno. Ha inizio qui l’attraversamento che in definitiva è un giudizio anch’esso ma sporcandosi le mani producendo da autore a partire dal 1960.

E tutti i Sessanta risultano una sorta di viaggio propedeutico all’ultimo dei suoi atti che ho citato in testa a questo scritto, condotto tra citazione e autopresentazione, tra pubblico e privato, tra costruzione e incassettamento, tra incendio e purificazione, dove se l’oggetto è sempre l’arte il soggetto è la vita, quella dell’artista ma anche quella di noi tutti. Appropriandosi delle opere degli altri, attività divenuta molto in voga circa vent’anni dopo, ne assoggetta la forma a queste sue incessanti dualità, ne estremizza i significati ed inizia a definirne i confini sovrastrutturali come nei primi francobolli a partire dal 1966. Che differenza ci sia rispetto al primo atto credo non sia una questione sostanziale ma che si tratti di una sorta di delocazione dello stesso atteggiamento dove in un luogo diverso, con delle architetture create da sé, come con il libro e la mostra in precedenza, attua la sua presenza verso l’esterno, azione propria della creazione artistica. In definitiva: non c’è bisogno di creare figure nuove per parlare di ciò che anche quelle già fatte esprimono. Il terzo atto, ho già detto, ha inizio a partire dal 1971, anche se le Proposte dell’anno precedente in cui seziona con atto apparentemente iconoclasta tele di autori museali sono un antefatto di un cambiamento di stato, anche se ripeto non di sostanza: la forma altrui non serve più se è di se stesso che si deve parlare. E quel se stesso siamo tutti noi, l’essere artista è una metafora dell’essere nel mondo. Il giudizio diventa filosofico, si parla di identità, di stato, di presenza, e della biografia come atto primigenio che può assumere valenze divinatorie: l’Autostoricizzazione travalica il tempo ed è posteriore a tutto, compresa la modernità e la sua stentorea presunzione cronicistica.

Sembra proprio che ci siano i termini per constatare un’ulteriore preveggente anticipazione sui tempi a venire che tanti fiumi di parole hanno fatto scrivere senza individuare il soggetto vero delle cose, l’opera che le accompagnasse.
Ed eccola allora quella scrittura incessante che copre tutto per svelare la coscienza individuale, il senso di sé nell’essere attore della coscienza di tutti. E’ con questo atto nuovo che GAC esplode, come se quelle opere post che necessitano per affermare un pensiero nuovo su se stessi volesse farle tutte lui. Ed esplode anche la comunicazione, senza Rete senza Socialnetworks, bisogna attuare da soli anche quella e non lasciare alcunché di intentato. Nascono così le Mostre a domicilio, cataloghi-opera in diecimila copie che viaggiano in tutto il mondo per rimpiazzare la staticità dei luoghi deputati, per diffondere, segnalare, scrivere una post-storia che non ha tutti i vincoli della precedente. Tutto via Posta, il modo migliore per occupare tutti gli spazi possibili, con una rete che si crea da sé, senza condizioni, senza mercato. I soggetti sono sempre gli altri, ma smaterializzati, ridotti ad idea funzionale a sé stesso, come nelle 25 lettere ai grandi della storia con cui si coinvolge in relazioni amicali, o I Frontespizi di famosi libri di ogni tempo di cui diviene il principale protagonista, e così via in un eccesso parossistico di riscrittura dove tempo e spazio si frammentano, ed ancora diventano liquidi ed incapaci di costruzioni stabili ed esclusive.

Sappiamo bene che la libertà non arriva da questa condizione, anzi come ne abbiamo riprova oggi ne è ulteriormente complicata , ma se non si scardina il lessico che la descrive, come hanno fatto i Ready made duchampiani a suo tempo, non avremo l’occasione per conquistarla. GAC questa ulteriore operazione la fece a suo tempo, forse troppo in anticipo perché venisse compiutamente recepita. Chissà che la ricorrenza del 2014, ora così vicina, non ci porti l’occasione per finalmente riconoscerlo?     Piero Cavellini

CAVELLINI: L’arte tra ironia, utopia e vita

GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI
L’arte tra ironia, utopia e vita

“Caro Guglielmo Achille Cavellini, noi tutti abbiamo all’inizio dedicato la nostra fede (il nostro entusiasmo giovanile) a degli schemi che si sono rivelati ingenui. Abbiamo creduto innocentemente che la capacità producesse il merito e che dal merito venisse la gloria. Abbiamo scoperto via via nel tempo che ciò non accade. Abbiamo imparato che, nei rapporti sociali, è la gloria che crea il merito e la capacità. Ed ecco che ora scopriamo che questo concetto di capacità è scomparso divenendo un’idea ingannevole che i divulgatori introducono a loro piacimento. Ridiamo ora attraverso di lei dei nostri sbagli precedenti. Ridiamo del merito e della gloria. Ridiamo del pubblico e della società, ridiamo delle loro beffarde mitologie. Questo è il messaggio che sgorga dalla sua sferzante e singolare attività. La saluto e la elogio. Vivissimi auguri”.

(Da una lettera di Jean Dubuffet a Guglielmo Achille Cavellini, del 15-10-1978)

GAC acronimo di (Guglielmo Achille Cavellini), nasce l’11 settembre del 1914 e muore a 74 anni il 23 ottobre del 1990. E’ stato esattamente nel 1971 che ha inventato “l’autostoricizzazione”, siglando ironicamente ogni opera con la data del centenario dell’autore e inviando per via postale in tutto il mondo una decina di “mostre a domicilio”. In Italia, per diversi decenni, GAC è stato osteggiato come “un ricco eccentrico in vena di esibizionismo”, non compreso perché ritenuto soltanto un importante collezionista d’arte contemporanea e di conseguenza collocato dalla critica ufficiale nel completo isolamento. A partire dal 1971, dopo l’irruzione nel mondo dell’arte dell’americano Ray Johnson, vissuto nello stesso periodo dell’artista bresciano, G. A. Cavellini incomincia a ribellarsi ai poteri forti attuando l’autopromozione e l’autocelebrazione di sé attraverso la diffusione di interventi di vario tipo cercando opportunamente di ridicolizzare certe logiche sottese al mercato dell’arte. GAC riteneva il sistema ufficiale dell’arte impenetrabile e corrotto, di conseguenza la decisione di proporre la sua stessa presenza come autentico momento creativo. Insomma, una sorta di artista isolato che dal chiuso decide finalmente di non far parte più di quella schiera di pittori delusi e incompresi come Munch, Van Gogh, Modigliani o Tancredi e di far sentire la propria voce attuando appropriate “interferenze” all’interno del sistema monopolistico dell’arte. Dopo aver realizzato, distrutto e riciclato una parte consistente del suo lavoro degli anni precedenti, GAC decide di compiere “il grande passo”, ossia di contrapporsi ad un sistema ormai sordo e monotono, un ulteriore sviluppo verso la messa in crisi del tradizionale sistema ufficiale dell’arte.
E’ proprio GAC per primo a porre in modo evidente il problema della mercificazione e del condizionamento da parte del potere culturale attuando per reazione un straordinario “attivismo di contrasto frontale” con il sistema impenetrabile dell’arte ufficiale. L’arte, dopo essere stata relegata per molto tempo al chiuso delle idee, con l’attuazione dell’autostoricizzazione” diveniva liberazione, apertura delle frontiere culturali che si integrava nella vita. Cavellini si ritrova a condividere contemporaneamente vari campi d’esperienza trasversali e alternativi alle proposte della cultura ufficiale; dalla pittura alla poesia visiva, dalla body art alla performance, collocandosi apertamente ai margini di un sistema, in una zona franca, ovvero “in una periferia di confine praticabile” abbracciando concretamente una pratica che di fatto assorbiva diverse esperienze convogliandole in nuove possibilità creative. Inoltre, con la preferenza e l’utilizzo della Mail Art poteva finalmente confrontarsi a 360 gradi con artisti di diversa esperienza e latitudine sparsi in tutto il mondo. Una pratica, quindi, “di lucido confronto” che poteva fare a meno del mercato dell’arte. Dal 70 in poi, Cavellini partecipa attivamente alla messa in crisi del sistema “come battitore libero“ condividendo in modo trasversale e parallelo più campi di ricerca e smantellando così un concetto tradizionale che preferiva la produzione dell’artista ripetitiva e ben identificabile, una produzione piuttosto “riconoscibile” al completo servizio del mercato dell’arte. Oggi, GAC ci sembra davvero la figura più convincente, molto più di Ray Johnson che, secondo noi, non è riuscito a far udire in tempo utile la propria voce, relegandosi supinamente ai margini di un sistema autoritario e subendo di conseguenza il silenzio e l’anonimato come triste marchio d’infamia che il sistema dell’arte attribuisce a chi non reputa utile alla causa speculativa del mercato ufficiale dell’arte. Grosso modo è’ risaputo il triste epigono del “più famoso artista sconosciuto di New York”, il 13 gennaio 1995, a Sag Harbor, lasciandosi annegare, (si dice) nell’acqua torbida e gelida del Long Island. In quella particolare situazione vi fu molta speculazione anche da parte dei critici, studiosi e funzionari delle forze dell’ordine che considerarono il triste evento persino come “ultima performance” dell’artista americano.
Dopo la Pop Art tutto poteva diventare merce di consumo e l’artista trasformarsi in un’icona da incensare e venerare. Inoltre, con le proposte dadaiste ogni oggetto poteva essere considerato “artistico” e quindi presentato come opera d’arte; bastava “deprivarlo” dalla reale funzione pratica, immetterlo in una galleria d’arte certificando così un suo possibile valore artistico. Negli anni ’60, anche Piero Manzoni aveva cercato di sovvertire un ordine prestabilito attuando interventi di tipo “utopico” che di fatto sconvolgevano il sistema ufficiale dell’arte che si regolava sul tacito patto consensuale tra coloro che gestiscono le ipotesi e i flussi di opere d’arte da immettere in circolazione all’interno del mercato dell’arte. L’artista di Soncino con i suoi interventi non più estetici ma artistici che rifiutando la normalità certificava questo passaggio cruciale d’epoca. Tutto ciò l’aveva compreso anche Cavellini che a partire dalla seconda parte degli anni ’60 il poi inizia a utilizzare nelle sue opere materiale di scarto d’impronta dadaista; soldatini, giocattoli, piume, foglie secche, lamette da barba, uniti ad altri materiali trovati vanno a configurarsi come una sorta di teatrino carico di memorie e di ironie sottese. Pratiche, si dirà apparentemente distanti rispetto alle proposte ufficiali, in verità perfettamente in linea con le problematiche e le ricerche prospettate negli anni 60, 70 e 80 dal sistema ufficiale e internazionale dell’arte. Insomma, stesse problematiche comuni d’indagine ma diverso modo di procedere. A nostro avviso, Gac risulta un artista decisamente non etichettabile in una specifica scuola o gruppo artistico, proprio perché si offre nel contempo come citazionista, poeta visivo, performer, body artist, mail artist e persino street artist e creatore di artistamp, quindi, difficilmente classificabile per le diverse pratiche utilizzate ma sicuramente artista del superamento trasversale di una logica tutta tradizionale.

Dal 1973 in poi, come conseguenza diretta dell’autostoricizzazione, Gac riscopre anche la scrittura come segno, scrive e riscrive a ripetizione la propria storia dappertutto.
Inventa la “Pagina dell’Enciclopedia” partendo da dati biografici reali, estende la propria storia ad appropriazioni temporali iperboliche e parossistiche del pensiero umano con uno sguardo obliquo e intenso rivolto al passato e anche al presente. La breve biografia si tramuta così in scrittura che l’autore applica a tutto: dalle stoffe e gli oggetti ai vestiti e persino i modelli viventi divengono il supporto diretto di questa invasione e occupazione “pittorica” con un fare improntato alla performance. A tal proposito è da segnalare negli anni ’80 una serie di festivals in onore di Cavellini organizzati per prima in California tra San Francisco, Los Angeles e Hollywood e in seguito a Middelburg, in Olanda, in Belgio nel 1984 e persino in Ungheria a Budapest, in cui l’azione performativa e all’happening collettivo viene sperimentato in modo amplificato e convincente. Negli “Appunti a margine nella ‘Vita di un genio’”, Piero Cavellini scrive: “la sua scrittura prolifera e si dirige verso gli oggetti più svariati come fogli di plexiglass e bandiere che ricopre minuziosamente ed in diverse lingue fino a giocare con sovrapposizioni illeggibili. Ricopre della propria scrittura anche una serie di colonne, simbolo di prestigio ed onore; passa quindi agli oggetti personali più disparati, dalle valigie all’ombrello, ad un set completo di abiti, magliette e quant’altro. Prende in seguito a vestirsi con questi indumenti dando luogo a performance di vario tipo nelle quali appare ricoperto della propria storia. Scrive sul mappamondo, su due candidi manichini, per passare poi a personaggi viventi.”

Le sue azioni sono state decisamente in anticipo anche rispetto alle proposte graffitiste attuate dal giovane americano Keith Haring negli anni ’80, accumunati occasionalmente dall’amore per la scrittura. Dopo la morte di GAC ha iniziato, lentamente, il processo di far “ri/conoscere” ad un pubblico più ampio e all’interno della comunità critica del sistema ufficiale dell’arte le qualità e gli apporti innovativi dell’artista bresciano. Oggi, Cavellini è da considerare come uno dei maggiori e originali innovatori della seconda metà del 20° secolo, dopo qualche decennio di attesa e di riflessione, ci appare come la risposta italiana alle proposte di Ray Johnson, ovvero, l’altra faccia della Pop art americana, quella che s’incarna all’interno della storia dell’arte del passato dell’arte italiana e del presente. Ha vissuto l’arte contemporanea dal secondo dopoguerra fino al 1990, intensamente come artista libero, diceva: “preferisco vivere la mia avventura, proiettata nel futuro, piuttosto di dovermi impantanare nell’intricata giungla dell’arte”, da artista non condizionato da schemi e imposizioni. Quindi, non é stata una questione di semplice eleganza o stile ma di una cosciente operazione illuminata che ha evidenziato e messo in luce i problemi e le contraddizioni di un sistema culturale “corrotto” che non permette alcuna interferenza e che costringe l’arte e gli artisti all’isolamento e all’anonimato. Un sistema che non lascia nulla al caso e che tratta l’opera d’arte e l’artista come semplice merce di scambio. (Giovanni Bonanno)

L’attività e le opere di Guglielmo Achille Cavellini

L’attività e le opere di G. A. Cavellini
(dagli inizi degli anni ’60 a tutto il 1990)
Gli anni ’60, la ripresa dell’attività pittorica
A Conclusione del suo impegno generazionale, da grande collezionista d’arte contemporanea, nella ricognizione attorno all’arte astratta ed informale europea, GAC riprende il lavoro artistico proprio da questa esperienza. Sceglie la pittura ma la estende ad un territorio personale preconizzando un imminente cambiamento espressivo.

Le opere oggetto 1965
Fortemente emozionato da un universo oggettuale e mediatico nuovo, che dal New Dada alla Pop ed al Nouveau Realisme stava pervadendo l’arte nuova del periodo, GAC sente prepotente il cambiamento in atto e si lancia in un’esperienza oggettuale che però continua ad adattare ad un progetto sul sé e la propria biografia. Le opere oggetto di questo periodo infatti, pur seguendo dal punto di vista formale la tendenza in atto, hanno un contenuto legato profondamente al proprio vissuto e molto spesso alla propria quotidianità.

Le cassette e i francobolli in legno (1966 – 1970)
Crea le cassette che contengono le opere distrutte dei periodi precedenti. In parallelo alle opere incassettate, crea diversi lavori oggettuali in legno e plexiglass colorati. Nello stesso periodo inizia a produrre diversi Francobolli in legno intarsiato.

I Carboni del 1968-1970
Dopo i francobolli in legno è il periodo dei carboni, brucia le proprie opere allo scopo di purificarne il disegno e a far scomparire qualsiasi segno del passato.

Le opere sezionate del 1970
E’ questa l’operazione che più ha sconcertato gli osservatori dell’arte di quel periodo: un famoso collezionista che tagliava in più parti opere d’arte di un notevole valore economico. Un atteggiamento iconoclasta e visto come un reale sfregio all’arte.

I Manifesti per il Centenario del 1971
Produce, su tele emulsionate ricolorate i manifesti che tutti i più importanti musei del mondo dovranno approntare per celebrare nel 2014 il centenario della sua nascita.

Le tele emulsionate tra il 1971-1975
La tecnica fotografica della tela emulsionata, usata per i Manifesti, si estende ad un incessante lavoro di riformulazione iconografica di tutto quanto fatto in precedenza. Sia le cassette che i carboni, le citazioni e le Italie.

I Frontespizi del 1971
Questi lavori fanno parte, assieme alle 25 lettere ai cimeli e ad alcuni altri lavori progettati per serie, delle cosiddette “mostre a domicilio”, attraverso le quali con una massiccia diffusione postale internazionale GAC inizia a farsi conoscere in un nuovo ambiente artistico che sarà poi quello del circuito di mail art, del quale sarà uno degli esponenti più riconosciuti.

Dalla Pagina dell’Enciclopedia
Dal 1973, come conseguenza diretta dell’autostoricizzazione, Gac inventa la “Pagina dell’Enciclopedia” dove, partendo da dati biografici reali, estende la propria storia ad appropriazioni temporali iperboliche ed onnicomprensive del pensiero umano. La breve biografia si tramuta in scrittura che l’autore applica al mondo nella sua generalità: stoffe, oggetti, vestiti e modelli viventi divengono il supporto diretto di questa invasione “pittorica” effettuata con la propria storia.

Fotografie anni Settanta
Per tutti gli anni Settanta GAC estende al medium fotografico tutta la sua progettualità che ormai sta invadendo ogni spazio reale possibile. In sintonia con un lavoro specifico sul corpo, che in quel periodo viene indagato da più parti, produce autoritratti ironici del suo volto in atteggiamento da smorfia. Inoltre, con l’uso della tecnica fotografica vengono creati i francobolli fotografici e le “Analogie”, dove GAC mette in relazione e a confronto i suoi atteggiamenti con quelli di altri personaggi della storia dell’arte.

Serie dei cimeli creati negli anni Settanta
durante tutto il decennio GAC crea una serie di lavori in cui la forma a cassetta o bacheca amplia il concetto di opera-contenitore che già aveva preso avvio alla metà degli anni Sessanta con le opere oggetto, inserendo e accumulando all’interno gli oggetti più svariati e personali come estensione biografica.

I personaggi della Storia: Autoritratti
Con l’inizio degli anni Ottanta GAC ritorna alla tavolozza pittorica, atteggiamento comune a numerosi artisti operanti in quel periodo, continuando ad insistere sul concetto di “auto storicizzazione” tra documento ed elementi naturali.

I Francobolli degli anni Ottanta
Anche l’elemento francobollo, apparso nel suo lavoro come simbolo di celebrazione, viene ora soggetto ad una produzione “pittorica” tipica di tutto il lavoro di GAC di quel periodo

Gli Autoritratti in Clinica del 1990
Tra il luglio e settembre del 1990, ogni giorno nella clinica di S. Orsola che lo ospitava, ad una data ora del mattino, segnata nel foglio come il numero della stanza in cui stava, produceva un collage in cui si auto ritraeva, mimando la sua tipica dinamicità facciale. Questi sono gli ’ultimi lavori raffinati, malinconici e anche ironici di GAC, artista “non considerato” dalla critica perché ritenuto “outsider” in controtendenza assoluta rispetto le condizioni e le regole ufficiali istituzionalizzati dal sistema dell’arte.

G. A. Cavellini visto da Ruggero Maggi

Guglielmo Achille Cavellini – Brescia, 1914-2014

Guglielmo Achille Cavellini o GAC, come si firmava) è stato un personaggio multiforme e geniale che per circa un cinquantennio ha vissuto l’arte contemporanea, dal secondo dopoguerra fino al 1990, anno della sua morte.
La storia ha inizio sul finire degli anni quaranta quando GAC, messi da parte i suoi primi tentativi espressivi, scopre una nuova arte europea che coniuga un fronte nuovo della pittura. Ne diviene uno dei maggiori collezionisti e se ne innamora come pittore. Quella fu la scintilla iniziale, un modo per mettere in piedi in’idea dell’arte come scelta individuale che è stata l’elemento conduttore della sua esistenza d’artista.
Negli anni ’60 recupera dal quotidiano oggetti, soprattutto giocattoli, soldatini, lamette da barba ecc. che uniti a materiali di discarica vanno a formare una sorta di teatrino carico di memoria e anche di denuncia sociale. E’ quindi la volta delle cassette che contengono opere distrutte (1966.1968) in cui ingabbia i suoi tentativi di lavoro precedente ed anche, e qui appare per la prima volta l’elemento citazione appropriazione, opere di artisti di cui stima maggiormente il lavoro. Citazione – appropriazione che prende corpo più chiaramente (1967-1968) con opere formate da intarsi in legno dipinto in cui gioca con i personaggi della storia dell’arte, ed anche con i primi francobolli, dando il via ad una ricognizione sulla celebrazione che sarà poi sempre presente nel suo lavoro e nei carboni (1968-1971) dove bruciare significa creare il nuovo purificandosi.
Nel 1970 produce una serie di opere, intitolate Proposte, in cui l’azzardo di appropriazione iconoclasta lo porta a sezionare tele di altri autori di importante valore storico ed artistico.
Nel 1971 c’è una svolta cruciale nel suo lavoro: decide di rivolgere attenzione unicamente a se stesso per segnalare la deformazione di un sistema permeato da invidie e chiusure invalicabili. Conia il termine Autostoricizzazione.
Le sue Mostre a domicilio furono una specie di vessillo per tanti giovani artisti con cui ebbe un fitto scambio di arte postale, tanto da creare uno degli archivi – museo tra i più cospicui ed interessanti di questo tipo di opere provenienti da ogni parte del mondo. Museo che egli, a più riprese, disse di considerare “la sua opera più importante”.     Ruggero Maggi

GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI

BIOGRAFIA / GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI

Brescia 1914-1990
Guglielmo Achille Cavellini (o GAC, come si firmava) è stato un personaggio multiforme e geniale che per circa un cinquantennio ha vissuto, come fosse un arbitro speciale, l’arte contemporanea, dal secondo dopoguerra fino al 1990, anno della sua morte.
Sta forse qui il cardine per capirlo. Non è stato un artista come tanti altri, con la sua piccola o grande innovazione. Non è stata una questione di stile la sua, ma una specie di giudizio illuminato che ha ricondotto giustamente all’individuo ed al suo pensiero i balbettii di un sistema che si stava sbriciolando in mille rivoli di potere dove l’arte e l’artista rischiavano di rimanere nell’ombra. Non è poco si dirà, eppure sembra che tutto ciò ancora ai più non sia chiaro.
La storia ha inizio sul finire degli anni quaranta quando GAC, messi da parte i suoi primi tentativi espressivi, scopre una nuova arte europea che, chiamandosi astratta, coniuga un fronte nuovo della pittura. Ne diviene uno dei maggiori collezionisti, se ne innamora come pittore e offre il suo primo giudizio all’arte. Per molti sembra che il suo valore termini qui, invece quella non fu altro che la scintilla iniziale, un modo per mettere in piedi un’idea dell’arte come scelta individuale che è stata l’elemento conduttore della sua esistenza d’artista.
Nel 1960 ha ripreso il lavoro con forza, dapprima sul versante dell’astrattismo pittorico che tanta parte aveva avuto nei suoi interessi del decennio precedente, ma con un gesto, un segno nuovi che appaiono ora come anticipatori del suo lavoro sulla scrittura che prenderà corpo più tardi.
La sperimentazione continua e nel 1965 sforna un gruppo di lavori che sono un’ulteriore tappa verso un uso diversificato dei materiali. Recupera dal quotidiano oggetti, soprattutto giocattoli, soldatini, lamette da barba ecc. che uniti a materiali di discarica vanno a formare una sorta di teatrino carico di memoria e anche di denuncia sociale.
E’ quindi la volta delle cassette che contengono opere distrutte (1966-1968) in cui ingabbia i suoi tentativi di lavoro precedente ed anche, e qui appare per la prima volta l’elemento citazione-appropriazione, opere di artisti di cui stima maggiormente il lavoro.
Citazione-appropriazione che prende corpo più chiaramente (1967-1968) con opere formate da intarsi in legno dipinto in cui gioca con i personaggi della storia dell’arte, ed anche con i primi francobolli, dando il via ad una ricognizione sulla celebrazione che sarà poi sempre presente nel suo lavoro.
Nei carboni (1968-1971), che per un certo periodo sono stati un vero e proprio simbolo del suo lavoro, dove bruciare significa creare il nuovo purificandosi, coniuga più apertamente i concetti appena accennati nei lavori precedenti, dalla pittura all’oggetto, dalla citazione all’appropriazione fino a far assumere a certe icone la valenza di opera propria, usando opere di altri autori oppure l’immagine dell’Italia in innumerevoli situazioni e contesti.
Nel 1970 produce una serie di opere, intitolate Proposte, in cui l’azzardo di appropriazione iconoclasta lo porta a sezionare tele di altri autori di importante valore storico ed artistico. Il gioco e l’ironia prendono ancora più spazio lasciando posto anche al dubbio che ci si trovi di fronte ad un gesto estremo e lesionista (era sì o no Cavellini in tempi passati un famoso collezionista?).
Nel 1971 c’è una svolta cruciale nel suo lavoro: decide di rivolgere attenzione unicamente a se stesso per segnalare la deformazione di un sistema permeato da invidie e chiusure invalicabili. Conia il termine Autostoricizzazione, che fu una vera e propria puntualizzazione, un modo per mettere in pratica il suo giudizio. Il termine può sembrare a prima vista un escamotage brillante e narcisista per mettersi in mostra, ma è tanto forte l’idea da intrufolarsi nel sistema dell’arte e straripare nei suoi gangli più vitali mettendone in luce ogni contraddizione.
Le sue Mostre a domicilio furono una specie di vessillo per tanti giovani artisti con cui ebbe un fitto scambio di arte postale, tanto da creare uno degli archivi-museo tra i più cospicui ed interessanti di questo tipo di opere provenienti da ogni parte del mondo. Museo che egli, a più riprese, disse di considerare “la sua opera più importante”.
Produce quindi i manifesti che innumerevoli musei di tutto il mondo dovranno usare per celebrare il suo centenario, abbinando al suo nome la sigla 1914-2014.
A questo punto la fantasia dell’artista, liberata da ogni pudore verso l’autocelebrazione, si scatena. Nei francobolli entra lui con la sua mimica votata allo sberleffo.
Scrive una Pagina dell’Enciclopedia partendo da una semplice cronaca autobiografica fino a sfociare in una vera e propria iperbole del culto della personalità. La sua scrittura diviene quindi una cifra pittorica usata con maniacale insistenza su tutti i supporti possibili: colonne, manichini, tele e drappi di dimensioni enormi.
E’ questa la realtà che vede Cavellini come autentico innovatore, ed anticipatore anche negli aspetti di una nuova comunicazione nell’arte, scavalcando i canonici rapporti che sembrano una base inscalfibile del sistema, dando una risposta concreta e carica di vitalità al suo messaggio di provocante giudice del territorio dell’arte.
Archivio Cavellini di Brescia

LINK SU GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI

Emilio Isgrò: Lettera su Cavellini
http://gac2014.it/emilio-isgro-lettera-su-cavellini/

*Guglielmo Achille Cavellini 1914-2014: ovvero dell’autostoricizzazione*
http://www.luoghisingolari.net/immaginario/2014/04/20/guglielmo-achille-cavellini-1914-2014-ovvero-dellautostoricizzazione/

VIDEO:
• Guglielmo Achille Cavellini Documentary Video
Produced by LYNCH THAM, with special thanks to Ogilvy and Mather.

http://www.youtube.com/watch?v=aPMTPJXRJPQ
Duration: 7:20

• Cavellini immaginato centenario 2014
Trailer dello spettacolo teatrale prodotto da PROGETTOUTOPIA per il centenario di Guglielmo Achille Cavellini che si svolgerà il 12 settembre 2014 a Brescia durante i festeggiamenti dell’anniversario della nascita di GAC, 1914-2014.

Duration: 7:01

• Cavellini in New York
Artpool Art Research Center Duration: 21:03
http://www.youtube.com/watch?v=DeomP6TLc6o

• Cavellini Guglielmo Achille

Arte Tivù Duration: 7:20

Duration: 3:40

• Guglielmo Achille Cavellini nel ricordo di Giacomo Danesi

Duration: 5:08

• Vivere da gallerista – Intervista a Piero Cavellini
TheProjectFoundation
Piero Cavellini-gallerista-chiarisce il significato dell’essere gallerista, in passato e nel presente..
http://www.youtube.com/watch?v=fliKINLYmLo

– Duration: 7:57

http://www.youtube.com/watch?v=Lr9uffyC2-o
Video breve duration: 3:56

Link di G. A. Cavellini:
http://www.ophenvirtualart.it/
http://www.collezionebongianiartmuseum.it/home.php
http://www.collezionebongianiartmuseum.it/sala.php?id=44

DALL’ARCHIVIO CAVELLINI

– Visita la sezione dedicata alle OPERE di GAC
– Visita la sezione dedicata all’ AUTOSTORICIZZAZIONE
– Visita la sezione dedicata ai RITRATTI di GAC realizzati da Andy Warhol, Renato Birolli, Mimmo Rotella, Mario Ceroli.

http://www.cavellini.org/Cavellini.org/Home.html
http://www.cavellini.org/Autostoricizzazione/Ritratti.html

VERSO IL 2014
http://www.cavellini.org/Cavellini.org/Mail_Art.html
http://www.cavellini.org/Cavellini.org/Verso_il_2014.html

http://gac2014.it/events/giornata-studi-guglielmo-achille-cavellini/

http://www.cavellini.org/Documenti/Edizioni_Nuovi_Strumenti.html

ARCHIVIO CAVELLINI
Via Milano, 110 25126 Brescia – Italy
Tel e Fax: +39 030 3733271 Contatti: info@cavellini.org
progettoutopia@libero.it

OPHEN VIRTUAL ART / LA GALLERIA TUTTA VIRTUALE

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L’intervista di Francesca Salvato

a

Giovanni  Bonanno

La Ophen Virtual Art Gallery è la prima galleria virtuale in cui l’arte contemporanea diviene virtuale e interattiva. Nessun muro e nessuna sala bensì solo il web per accogliere le opere, un luogo in perenne evoluzione dove si alternano i lavori di artisti più e meno noti. Ciò permette agli artisti emergenti di usufruire gratuitamente di una vetrina costante e consente, a quelli con maggiore esperienza nel settore, di rendersi sempre più internazionali. La  www.collezionebongianiartmuseum.it  è sempre pronta a spalancare le sue porte proponendosi come ponte tra l’arte in senso stretto e l’innovazione della rete internet. Senza dubbio si tratta, allo stato attuale, della prima e più importante galleria on-line a livello mondiale che si occupa di arte contemporanea

Signor Bonanno, ci dica come è nata l’idea di una galleria virtuale?

Lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery, nasce nel 2009 ed è uno dei primi contenitori espositivi virtuali internazionali al mondo con l’arte a portata di mouse. Durante questi ultimi decenni avevo notato che il pubblico era sempre meno. Probabilmente davanti ad una galleria privata, si palesa l’insofferenza e la paura di pagare persino l’ingresso. Solo le grandi mostre con un grosso battage pubblicitario permettono di avere un numero considerevole di visitatori; penso alle mostre dedicate a Van Gogh, agli Impressionisti o alla rassegna della Biennale di Venezia. Il fruitore molto spesso rimane indifferente a tante importanti proposte culturali, per cui, un’altra ragione in più per cercare una nuova possibilità e sfidare la “pigrizia” del pubblico nei confronti dell’arte contemporanea. La crisi economica e culturale del sistema Italia. In questi ultimi anni il vento ha spazzato via in un solo colpo non solo le imprese ma anche le gallerie d’arte, tanti spazi espositivi. La crisi ha insabbiato il potere d’acquisto della classe media che, pur entro certi limiti, aveva investito in questo settore. È un momento davvero difficile, le spese di gestione sono alte, si fa fatica a trovare qualche sponsor e gli investimenti puntano sul sicuro, cioè su “autori storici”. Non ci si sta dietro alle spese, si vende ormai pochissimo. Chi non ha le spalle larghe e coperte di sicuro chiude. Come tante altre realtà, si chiude a Modena come a Milano o a Parigi. Questa è l’aria, purtroppo, che si respira oggi. Consapevole di questa nuova realtà ho voluto realizzare compiutamente un mio progetto curatoriale ed espositivo di tipo sperimentale, alternativo e innovativo rispetto all’attività consueta delle gallerie d’arte, assorbendo di fatto tutte le strategie acquisite e utilizzate dalle gallerie tradizionali e nel contempo usando le nuove tecnologie che avevo a disposizione.

 

Com’è nata la collaborazione tra lei e Sandro Bongiani, ci racconti da quale formazione proviene? 

Inizialmente ero solo un artista e critico d’arte contemporanea. Per un certo periodo scrivendo di arte e recensendo le mostre su varie riviste mi firmavo con il nome Sandro Bongiani. Per questa avventura ho preferito ripescarlo e trovarmelo vicino utilizzandolo come una sorta di alter ego virtuale, un altro sé, diciamo pure una seconda presenza interattiva che mi affianca e collabora. Di fatto sono solo a sobbarcarmi tutto il lavoro; dalla programmazione tecnica annuale delle mostre da fare al contatto con l’artista, dal comunicato stampa, locandine, newsletters, alla stesura del testo critico di presentazione e poi la diffusione alle varie riviste e spazi culturali seguendo passo dopo passo l’evento dall’’inaugurazione a tutto il periodo della mostra. Ogni mostra è affiancata da un significativo programma di comunicazione mediante il nostro Archivio e ufficio stampa Ophen Documentazione d’arte Contemporanea creato nel lontano 1989. A volte, se sono molto interessato ad un artista, scrivo anche qualche poesia che diffondo nel Web. Ogni volta è un lavoro immane ma confesso che lo faccio con piacere ben sapendo che sto contribuendo a cambiare il modo di operare all’interno del sistema ufficiale dell’arte. Oggi sono contemporaneamente più cose; artista, curatore, blogger, poeta, gallerista e…. Di certo, tutto questo lavoro non potrebbe essere fattibile al meglio se le varie attività fossero demandate a diverse figure culturali. Anche per questo lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery risulta unico nel suo genere come la prima e autentica galleria virtuale al mondo con una visione e una presenza ben definita, rispetto alle tante pseudo-proposte provvisorie presenti nel web.

 

 Un progetto ambizioso e rischioso….. 

Il mondo dell’arte è un mondo impenetrabile che non permette nessun scambio perché controllato da “corporazioni” che sanno gestire benissimo il mondo commerciale dell’arte. L’alternativa era quella di aprire una associazione culturale oppure una cooperativa gestita dagli artisti. Vecchia storia! Vi era il bisogno urgente di un nuovo modo di concepire l’arte e produrre cultura; è tempo che da parte degli operatori del settore e degli addetti ai lavori si attivino serie riflessioni su possibili nuove strategie di rinnovamento. In queste condizioni non aveva alcun senso affittare uno spazio espositivo e utilizzarlo per ospitare delle mostre, era troppo deprimente, per cui ho deciso di creare uno spazio virtuale decisamente accessibile a tutti quelli che orbitano all’interno della galassia globale semplicemente utilizzando una connessione internet. L’obiettivo che mi sono posto è di realizzare una piattaforma interattiva capace di ospitare le mostre temporanee, una sorta di collezione permanente in grado di conservare in modo duraturo tutte le mostre passate archiviandole all’interno di un archivio generale online.

 

Come vive e viene percepita la realtà virtuale nell’arte? 

Attualmente vi sono differenti approcci alla ricerca di un rapporto interattivo con la grande massa di utenti del mondo di internet. C’è chi propone l’inserimento di foto di opere, quasi una sorta di gallerie fotografiche, chi utilizza lo spazio in vendita affittandolo come un semplice affittacamere e chi si è illuso di poter risolvere il problema della partecipazione utilizzando magari una piattaforma più dinamica e interattiva 3D via internet visitabile via browser dando spazio all’attivismo dell’utente che di fatto diventa un interlocutore attivo, preferendo lo spazio e gli ambienti accessibili e navigabili, dimenticando però, l’opera d’arte che risulta così secondaria rispetto all’evento partecipativo del percorso 3D.

  

Gli artisti come la vivono?  

Gli artisti che condividono questa mia avventura sono attratti da questo nuovo modo di procedere e relazionarsi con l’opera d’arte ben sapendo che non sussiste la percezione e il contatto diretto in senso fisico con l’opera come risulta evidente da una visita ad una galleria tradizionale. Potrebbe essere questo un handicap. Tuttavia, devo far notare la grande possibilità di essere presenti in tempo reale nel web in una dimensione globale a 360 gradi e visibile 24 ore su 24. Questa è la nuova frontiera aperta del Web di una galleria virtuale permanente d’arte accessibile da tutto il mondo

 

Le mostre come nascono e come vengono allestite? 

Lo spazio virtuale è una proposta sperimentale nata nel 2009 con la prima mostra collettiva virtuale “Tre artisti a confronto”, con la presentazione dei lavori di Roberta Fanti, Giuseppe Celi e Bruno Sapiente, l’esposizione delle opere avviene in tre sale virtuali con un massimo di 30 opere per sala. Lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery con le tre classic room nasce da una semplice constatazione che è possibile utilizzare le strategie acquisite delle gallerie tradizionali, quelle che io considero “dello spazio fisico” attivando una proposta con reali frequentazioni provenienti da tutte le parti del mondo. Uno spazio decisamente virtuale, interattivo e accessibile ovunque. La mia galleria virtuale di solito ospita 3 – 4 mostre d’arte all’anno sempre con proposte serie e di qualità. Quello di gestire una galleria d’arte diversa dalle altre è sempre stato un mio grande sogno che ho coltivato da lungo tempo, capace di poter offrire maggiori opportunità in termini di visibilità e con la caratteristica di ricevere visite da spettatori provenienti da tutte le parti del mondo in modo interattivo, aperto e accessibile ovunque, da chiunque e in qualsiasi momento. Questo progetto digitale si basa sul no-profit, evitando di commercializzare le opere d’arte in senso speculativo. Se qualcuno vuole vedere o comprare le opere esposte deve solo rivolgersi all’artista in questione. Non siamo dei commercianti e non vi è nessuna merce in cambio. La galleria virtuale, oggi, è la più importante se non l’unica realtà virtuale al mondo presente on line nel Web che ha un approccio diretto e serio con l’opera d’arte. Uno spazio virtuale che con le sue tre sale può ospitare anche 90 opere in tutto. Si può accedere a questo spazio utilizzando un qualsiasi computer oppure uno smartphone, un tablet, un book reader con una semplice connessione ad internet. 

 

Nel corso di questa avventura così audace sono state maggiori le vittorie o le sconfitte (ammesso che ve ne siano state)? 

Le avventure, in quando tali sono sempre stimolanti e bisogna affrontarle cercando di attivarle con coscienza e partecipazione. Non ci sono insuccessi. L’unica sconfitta che conosco è quella di negare per paura un proprio specifico contributo a un determinato problema. Se devo fare un primo provvisorio e precario bilancio del lavoro svolto in cinque anni di attività di gallerista virtuale posso affermare che i miei contatti con tanti artisti di grande interesse mi hanno facilitato molto, permettendomi di proporre mostre di qualità come quelle organizzate a Giuliano Mauri, Paolo Scirpa, Marcello Diotallevi Clemente Padin, Ruggero Maggi, Anna Boschi, Vincenzo Nucci, Franco Longo e tanti altri che hanno partecipato e condiviso con impegno questa avventura.

 

Pensa che potranno realizzarsi mostre in tempo reale in punti diversi del mondo? 

Siamo solo alla prima preistoria di questo nuovo modo di considerare l’arte e la cultura. Sono convinto che occorrerà solo attendere un po’ per verificare un numeroso pullulare di proposte virtuali presentati in tempo reale in diverse parti del globo che assorbiranno di fatto le esperienze tradizionali a favore di una nuova condizione e concezione dell’arte. L’ultima mia fatica risale al 2011, anno in cui ho creato il Bongiani Ophen Art Museum, un Museo Virtuale di Arte Contemporanea interattivo con 45 Room in cui vi sono presenti le opere virtuali temporanee di altrettanti artisti e anche la Collezione Grafica di arte Contemporanea con altre 45 sale virtuali in cui archivio le opere autentiche che sto raccogliendo per donarle prossimamente ad un museo d’arte contemporanea.

 

In futuro?  

Un sogno che ho ancora nel cassetto è quello di realizzare altre mostre online senza dover spostare materialmente quadri opere e persone, utilizzando un semplice monitor e facendo interagire l’artista stesso che dovrà magari dall’altro capo del mondo inserire direttamente le sue opere dentro la piattaforma virtuale divenendo così anche protagonista e curatore di se stesso.

Considerazioni e speranze? 

 

Sono convinto che stiamo scardinando un sistema monolitico che fino a poco tempo non permetteva nessuna interferenza, a vantaggio di una partecipazione più attiva, libera e democratica, dove le persone sono destinate ad avere un’interazione privata e personale con l’opera d’arte al di là delle scelte del mercato e del sistema dell’arte ufficiale. Non è un fenomeno di transizione ma un nuovo modo di concepire la fruizione artistica e museale. Per lungo tempo, il sistema ufficiale dell’arte ha condizionato le scelte in forma di monopolio assoluto. Con l’avvento di Internet tutto è diventato possibile trasformando i siti web in spazi curatoriali. La galleria virtuale nasce in parallelo alle proposte dell’arte ufficiale con lo scopo di bypassare eliminando i cosiddetti intermediari e arrivare più facilmente al pubblico. L’attivismo viene considerato oggi ancora paradossalmente “sotto culturale”, in realtà si ha paura di questi sconvolgimenti che possono alterare assetti ritenuti fino a poco tempo fa stabili e sicuri. 

 

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VIRTUAL UNDERGROUND/ GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI 1914 – 2014

Un artista globale nel rapporto tra arte e vita

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GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI 

(Brescia 1914 – 1990)

Jean Dubuffet  nel 1978 scrisse:  “…Abbiamo creduto innocentemente che la capacità producesse il merito e che dal merito derivasse la gloria. Abbiamo via  via scoperto che ciò non accade… Ridiamo ora attraverso di Lei dei nostri precedenti errori…”

 

Premessa

Con  la lettera testuale del 1979 GAC pubblicata come premessa ad inizio  nel catalogo della Mostra a domicilio nell’aprile del 1980 affermava: nella mia operazione di “autostoricizzazione” è necessario che io della provvedere anche alla mia “autobiografia”. Ho scelto la forma diaristica, perché, come ho già scritto in una “lettera ai miei nemici” vorrei che i posteri la giudicassero “completa e perfetta”.Per seguire un ordine cronologico avrei dovuto pubblicare il diario dell’anno 1976. Ma dopo il mio viaggio in California (27 aprile-14 maggio 1980) e a Budapest (22 -24 maggio 19809 non ho resistito alla tentazione di anticipare la pubblicazione di queste pagine, perché, mi pare, meritino una particolare attenzione. Da qualche anno ho avviato dei singolari rapporti con parecchi artisti sparsi in varie parti del mondo. I festivals organizzati in California mi hanno invogliato a parteciparvi per conoscere di persona questi nuovi amici, i luoghi dove vivono, e respirare l’atmosfera del loro ambiente artistico. Questi due viaggi mi sono stati di grande utilità per meglio approfondire certe mie idee sulle vicende dell’arte e della vita, che in questo momento stanno attraversando una profonda crisi di trasformazione. Qui da noi si è ancora convinti di essere i continuatori di una nostra vecchia tradizione artistica, qui da noi prevale ancora il concetto dell’individualità, e non ancora quello della collettività. Qui da noi ogni anno inventano qualche trappola per voler mantenere ancora in vita le vecchie leggi della tradizione, del mercato, e le posizioni di comando conquistate. Basterebbe fare uno sforzo e osservare il mondo dell’arte con l’occhio dei posteri. Basterebbe giudicare il presente e il passato con l’occhio della storia, inesorabile spugna asciuga tutto. La storia ci ricorda soltanto quei pochissimi personaggi che hanno contribuito al rinnovamento del mondo dell’arte mostrandocelo con un occhio nuovo e diverso. Comunemente si dice: “Se fossi vissuto al tempo di Van Gogh avrei capito il suo modo di fare arte”. Storicamente è accertato che non è vero. Qui da noi hanno scritto libri su Duchamp soltanto dopo sessant’anni; e il dadaismo è ancora un genere d’arte considerato marginale. La storia si ripete e sempre si ripeterà. Anche oggi in qualche parte del mondo esiste un altro Van Gogh o un altro Duchamp, ma non è compito, a quanto pare, dei contemporanei capirli o scovarli. Per la prima volta ho assistito quest’anno ad un convegno internazionale di critici e di direttori di musei. Ho sentito un centinaio di relazioni. Ebbene, ho stabilito che tutti sono informati, intelligenti, disinvolti, ma nessuno mi ha dimostrato di saper vedere al di là del proprio naso. Sono tutti ancora al di qua della barricata. Ognuno di loro è convinto di possedere la verità. Hanno stampato un libretto con gli indirizzi di quindicimila artisti e critici di 35 nazioni rigorosamente selezionati, e tutti i quindicimila sono convinti di essere i migliori o almeno tra i migliori. Veramente viviamo in una giungla dell’arte, stiamo assistendo ad una nuova Babilonia. Soltanto dopo una drammatica e lunga crisi sarà possibile ricominciare da capo. Ogni periodo storico ha una sua diversa fisionomia, e logicamente quello di domani dovrà differenziarsi dai precedenti. Se le società vorranno migliorare, uno dei compiti degli artisti dovrà essere quello di aiutare a far capire il mondo dell’arte. Quando l’attuale sistema verrà smantellato, una possibilità di continuità dovrebbe essere quella di ricominciare  tutto da capo (logicamente non dimenticando il prezioso bagaglio culturale ereditato dai nostri predecessori, un bagaglio complesso e vario, ormai ridotto alla saturazione e all’attuale crisi di idee). Ricominciare tutto da capo, come uomini primitivi, ritornare alla natura, in libertà. In semplicità, assieme. Uno spiraglio di un nuovo modo di fare arte mi pare di averlo avvertito e vissuto con i miei nuovi amici che ho incontrato in California. Non è importante il risultato, come lo pretende il sistema dell’arte, per me è importante il loro nuovo comportamento, il loro nuovo modo di vedere il mondo, la vita, l’arte, non più ridotti all’isolamento, ma vivere e operare collettivamente, conquistare una libertà, aprire le frontiere, dialogare con il mondo intero. Molti artisti ormai comunicano tra di loro con lo stesso linguaggio e lo stesso spirito, pur vivendo in California, o a Budapest, o in Polonia, ecc. Le pagine di questo diario avvalorano le mie affermazioni. Il mio soggiorno in California lo considero una parentesi della mia vita assai importante, uno stimolo a proseguire la mia strada senza esitazioni. Se qualcuno pensasse che quanto ho scritto è frutto della mia fantasia, e il racconto possa sembrare surreale, ebbene, desidero precisare che invece tutto veramente è accaduto, tutto è realtà. La realtà, in questo caso, è divenuta surreale, senza dover ricorrere a finzioni o programmazioni. Tutto ciò è avvenuto perché da tempo questi artisti mi avevano dimostrato in mille modi la loro stima, e giudicano la mia “auto storicizzazione” una operazione artistica nuova, diversa, rivoluzionaria. Mi considerano un demitizzatore del sistema dell’arte, ormai in crisi e in lento inesorabile disfacimento. (qui da noi, invece, esiste e persiste l’ormai tradizionale “Nemo propheta in patria”). Inoltre è interessante constatare come il mio adesivo abbia saputo stimolare la fantasia di molti artisti in modo prodigioso (al punto che un autorevole esponente del fluxus americano, in un articolo pettegolo e maldicente, lo ha addirittura definito: “Quel maledetto adesivo Cavellini 1914-2014 che viene incollato in tutto il mondo”). Quell’adesivo da fastidio a molti. La mia operazione di “autostoricizzazione2 non viene ancora presa sul serio. Mi giudicano un presuntuoso megalomane con molti mezzi a disposizione, sto subendo la stessa sorte degli artisti che hanno qualche cosa da dire fuori dall’ordinario, in contrapposizione al sistema. Perciò non devo sperare nella comprensione dei critici e degli storici dell’arte contemporanea, perché, come ho già detto, non è il loro compito scovare e capire questi personaggi. Preferisco vivere la mia avventura, proiettata nel futuro, piuttosto di dovermi impantanare nell’intricata giungla dell’arte.

       Luglio 1980,   GAC

 

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GAC 1914-2014

“La non-opera e il non-luogo dell’arte come interpretazione del mondo

per la trasformazione creativa della realtà”

“Commento a margine di un dibattito  a cura  di Giovanni  Bonanno”

 

Ripropongo questa lunga e significativa premessa scritta da GAC nel lontano 1980 perché la  ritengo   essenziale  per capire appieno la straordinaria personalità di questo artista lombardo  e  per comprendere meglio  in che particolare  situazione culturale si era  ritrovato ad operare negli anni 70 e 80.

E’ stato esattamente nel 1971 che ha inventato  “l’autostoricizzazione”, realizzando e  inviando per via postale in tutto il mondo una decina di “mostre a domicilio” (sono dei cataloghi stampati che sostituiscono le tradizionali mostre nelle gallerie d’arte). In Italia, per diversi decenni, GAC è stato osteggiato come  “un ricco eccentrico in vena di esibizionismo”, non compreso perché ritenuto soltanto un importante  collezionista d’arte contemporanea  e di conseguenza  collocato dalla critica ufficiale  nel completo isolamento.A partire dal 1971,  dopo l’irruzione nel mondo dell’arte dell’americano Ray Johnson, vissuto nello stesso periodo dell’artista bresciano, Guglielmo Achille  Cavellini aveva iniziato in modo assiduo a “scardinare” il sistema ufficiale dell’arte ritenuto impenetrabile, proponendo la sua presenza come autentico momento creativo. Insomma, una sorta di artista isolato che  dal chiuso decide finalmente di non far parte di quella schiera  di pittori delusi e incompresi come  Munch,  Van Gogh, Modigliani o Tancredi e di far sentire la propria voce attuando appropriate “interferenzeall’interno del sistema monopolistico dell’arte. Dopo aver realizzato, distrutto e riciclato una parte consistente del suo lavoro degli anni precedenti,  GAC decide di  compiere “il grande passo”; quello di contrapporsi ad un sistema ormai monotono; un ulteriore sviluppo verso la messa in crisi del tradizionale sistema dell’arte.

Di certo la sua condizione di  “scarsa considerazione” lo spinse  orgogliosamente a non  subire passivamente attuando, in alternativa al “silenzio”, una sorta di “ribellione”, una logica reazione alle regole precostituite e imposte dal sistema corrotto, ossia, una maniera per certi versi  “coscientemente attiva” di  im/porsi al sistema ufficiale dell’arte. Ray Johnson negli anni 60 aveva solo accennato a questa possibile nuova strategia di messa in crisi del sistema culturale che non permetteva nessuna intrusione se non avvalorato da un  potere forte che condizionava e controllava le proposte e le scelte al fine di regolarne il flusso  e  “ossigenare il mercato dell’arte. Carlo Giulio Argan proprio nei primi anni 70 diceva:  “l’opera d’arte è oggetto, in una società neo-capitalista o “dei consumi” l’oggetto è merce, la merce ricchezza, la ricchezza potere, – aggiungo io – il potere è successo perché si basa  sull’ingordigia di possedere danaro e ricchezza. Quindi, strategie chiaramente  di palazzo e di potere imposte da illuminati “profittatori culturali” che  ancora oggi controllano  la produzione degli artisti e non ammettono   intrusioni al fine di un serio profitto. Per il mercato dell’arte ogni cosa deve essere controllata da un apparato forte di gallerie,  critici e mercanti di arte che si contendono fattivamente  le fortune. Gli anni 70  non a caso è anche il periodo della messa in crisi dell’oggetto ritenuto “merce produttiva” e oggetto al servizio del potere.  E’ proprio  GAC a porre per primo e in modo evidente  il problema della mercificazione e del condizionamento da parte del  potere culturale attuando per reazione un  straordinario  “attivismo  di contrasto frontale” con il sistema  impenetrabile dell’arte ufficiale. L’arte, dopo essere stata relegata  per molto tempo al chiuso delle idee,  con l’attuazione dell’autostoricizzazione”  diveniva  liberazione, apertura delle frontiere culturali, arte che finalmente si integrava  nella vita.

G. A. Cavellini  si ritrova, lui che è stato un grande mercante e collezionista di arte contemporanea a condividere contemporaneamente vari campi d’esperienza trasversali e alternativi alle proposte della cultura ufficiale;  dalla pittura alla poesia visiva,  dalla body art alla performance, collocandosi apertamente ai margini di un sistema, in una zona franca, ovvero “in una periferia di confine praticabile” abbracciando  concretamente una pratica che di fatto assorbiva   diverse esperienze convogliandole concretamente in nuove  possibilità creative. Inoltre, con la preferenza e l’utilizzo della Mail Art  poteva finalmente confrontarsi a 360 gradi con  artisti di diversa esperienza sparsi in tutto il mondo.  Una pratica, quindi, “di lucido confronto” che poteva fare  a meno del mercato dell’arte che  di fatto tiene in ostaggio l’artista e di conseguenza reprime e condiziona la  creatività.  Dal 70 in poi, Cavellini partecipa alla messa in crisi del sistema “come battitore libero“ condividendo  in modo trasversale più campi di ricerca e smantellando così un concetto tradizionale che preferiva la  produzione dell’artista ripetitiva e ben identificabile, una produzione  assai monotona al completo servizio del mercato dell’arte. Oggi, GAC ci sembra davvero la figura più convincente, molto di più di Ray Johnson, capace di incarnare magnificamente  “la messa in croce” di un sistema  “arrogante” che tiene in ostaggio l’artista e di conseguenza l’opera d’arte e la produzione artistica in nome di un ipotetico e  possibile riconoscimento.

Artista particolarmente non  identificabile in una specifica scuola o gruppo artistico, nel contempo  citazionista, poeta visivo, performer, body artist,  mail artist e persino street artist e creatore di artistamp, difficilmente classificabile per le diverse pratiche utilizzate ma sicuramente artista del superamento trasversale di una logica tutta tradizionale. A distanza di qualche decennio  di attesa e di riflessione Guglielmo Achille Cavellini appare un  personaggio geniale e poliedrico. Ha vissuto l’arte contemporanea dal secondo dopoguerra fino al 1990, anno della sua morte, come artista libero, diceva: “preferisco vivere la mia avventura, proiettata nel futuro, piuttosto di dovermi impantanare nell’intricata  giungla  dell’arte, da artista non condizionato da schemi e imposizioni. Quindi, non é stata una questione di semplice eleganza o  stile ma di una cosciente operazione illuminata che ha evidenziato  e messo in luce i problemi e le contraddizioni  di un sistema  culturale “corrotto” che non permette alcuna interferenza e che costringe l’arte e gli artisti all’isolamento  e  all’anonimato. Un sistema che non lascia nulla al caso e che tratta l’opera d’arte e l’artista come semplice merce di scambio. (Giovanni  Bonanno)

 

 

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L’evoluzione delle proposte di G. A. Cavellini

La galleria  Ophen Virtual Art e il  relativo progetto Internazionale di  Mail Art   dedicato a G. A. Cavellini  come condivisione ed  evoluzione logica della proposta  di GAC.

 

Coerente con le  idea delle mostre a domicilio  di GAC, un ulteriore evoluzione del pensiero cavelliniano  è proposto in questa mostra virtuale rifiutando la realizzazione della consueta  “messa in scena” di una mostra di tipo tradizionale  a favore di un nuovo modo di presentare l’opera; non più  costretta a vivere tra quattro mura di una galleria d’arte ma  a condividere le straordinarie possibilità virtuali date da internet in modo globale, con la conseguente diffusione dell’evento  dedicato a Cavellini direttamente a 360 gradi in tutto il pianeta. Questa nostra proposta culturale  nasce dall’esigenza primaria di superare  i reali intermediari dell’arte  (Gallerista, curatore, mercante,  critico d’arte),  a favore di una pratica democratica che non  accetta imposizioni autoritarie dall’alto, da chi oggi progetta gruppi  e movimenti artistici in funzione del mercato dell’arte. La nascita della Galleria Ophen  Virtual Art di Salerno non è altro che il giusto tributo ad un personaggio che nella libertà  creativa senza gerarchi e controllori  ha tracciato e definito una nuova strategia e un  nuovo modo d’intendere l’arte. Già da circa cinque anni la nostra attività si è concentrata  su un conseguente sviluppo di idee che nasce in sintonia  con la visione  poetica di base di Cavellini. Infatti, la  Galleria Ophen, dopo i Cataloghi e le mostre a domicilio di GAC vuole proseguire la sua attività a favore di una  libera circolazione di idee  incarnate magnificamente da Cavellini. Quindi, rinnovato  e duplice omaggio a Gac con una rassegna che dimostra tutta l’attualità  e la vitalità dell’artista bresciano. Una raccolta di opere internazionali con 77  artisti contemporanei internazionali  che hanno prodotto  oltre 245 opere, che  ora sono  state archiviate  e visibili in modo permanente in una sala  a lui dedicata del Bongiani Museum.

http://www.collezionebongianiartmuseum.it/sala.php?id=44

Una selezione scelta e ragionata di ogni autore è presentata in  questa importante mostra collettiva internazionale dal titolo “G.A.CAVELLINI – “Virtual Underground” che sarebbe  di certo  piaciuta a GAC  proprio perché  condivide la stessa filosofia che aveva messo in opera  negli anni 70.  Una filosofia di pensiero che nasce e prende corpo dalle sue idee in una dimensione per certi versi ancora irriverente e dissacratoria. Questo  è il testamento  e il messaggio più  autentico che Cavellini ci ha lasciato e che noi abbiamo raccolto concentrandoci a modo nostro, a  “continuare e interferire” con i  vecchi e occulti sistemi di potere  alla ricerca della libertà e di un nuovo modo di far conoscere l’arte e gli artisti considerati marginali e “inutili” dal sistema ufficiale dell’arte. Quindi, libera evoluzione e totale condivisione del programma cavelliniano alla ricerca di superare vecchi steccati un tempo insormontabili, oscuri  impedimenti alla creatività che “reprimono”, ancora oggi, un  serio e opportuno dibattito senza costrizioni e condizionamenti alla ricerca di un nuovo modo di operare. Questa prima mostra è il risultato di una spontanea e sentita partecipazione di diversi artisti di varia nazionalità che hanno sentito l’urgente bisogno di esserci e di  condividere in prima persona la  celebrazione ufficiale del’anniversario del Centenario di Cavellini. Per settembre 2014, poi, vi sarà il secondo  appuntamento virtuale con una  importante retrospettiva  del lavoro svolto da Cavellini. Questa seconda occasione  sarà possibile grazie al contributo dell’Archivio Cavellini di Brescia e soprattutto di Piero Cavellini, critico, filosofo, collezionista e gallerista d’arte contemporanea che ci permetterà di realizzare concretamente tale   importante evento. Tutto ciò dimostra un’intesa  davvero molto  profonda, una completa condivisione delle proposte attuate da Cavellini e pertanto una totale convinzione a continuare tale percorso come giusta evoluzione globale “anti sistema” del progetto attuato da Cavellini che dall’arte-vita si  evolve in presentazione “virtuale”,  condivisibile finalmente  in modo interattivo e globale  in tutto il  nostro pianeta.      

Ormai siamo solo all’inizio di questa nuova avventura che ci coinvolge positivamente, di questo nuovo modo di considerare e intendere l’arte e la cultura. Sono convinto che occorrerà  solo  attendere ancora un po’ per verificare concretamente  un numeroso pullulare di proposte virtuali presentati concretamente  in diversi luoghi del globo in tempo reale, che assorbiranno di fatto le esperienze tradizionali a favore di una nuova condizione e concezione dell’arte. Di fatto, si sta scardinando un sistema monolitico che non permetteva fino a poco tempo fa nessuna interferenza, a vantaggio di una partecipazione più attiva e democratica, dove le persone sono destinate ad avere un’interazione privata, libera e personale con l’opera d’arte al di là delle scelte del mercato e del sistema ufficiale. Non è un  mero fenomeno di transizione ma un nuovo modo di concepire la fruizione artistica e museale.    (Sandro  Bongiani).

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Artisti presenti a questa Rassegna Internazionale:

Guglielmo Achille Cavellini, Ryosuke Cohen, Alexander Limarev, Luciano  Pera, Picasso, Gaglione, Bruno Cassaglia, Vittore  Baroni, Clemente Padin, Otto D. Sherman,  Ruggero  Maggi, Jas W Felter, Gianni Romeo, Simon Warren,  Carmela  Corsitto,  Ambassade d’Utopia, Rosa Gravino, Ptrzia Tictac, Anna  Boschi, Carl Baker, Lancillotto  Bellini, John M. Bennett, I Santini Del Prete, Giovanni Strada, Umberto Basso, Serse Luigetti, Mariano Filippetta, Anja  Mattila-Tolvanen, Domenico Severino, Katerina  Nikoltsou,  Stathis Chrissicopulos, Patrizia Battaglia, Pedro Bericat, Silvana Alliri, Rosanna Veronesi, Claudio  Romeo, Fausto  Paci, Ciro  Stajano, Antonio Moreno Garrido, Pier Roberto Bassi, Giovanni Bonanno, Francesco Aprile, Adriano Bonari, Jorge Valdes, Giancarlo Pucci,  Valery Oisteanu, Noriko  Shimizu, Judy  Skolnick, Angela Caporaso, Maurizio  Follin, Andreas Horn, Valentine Gabriella  Gallo, Mark Herman, Mariano  Bellarosa, Monica  Rex, Fulgor C. Silvi,   Lamberto Caravita,  Andrea Bonanno, Francesco  Mandrino, Roberto Scala, Giuseppe  Iannicelli, Renata e Giovanni Stradada, D.C. Spaulding, Maria Teresa Cazzaro, Antonio De Marchi Gherini, Bernhard Uhrig, Alfonso Caccavale, Monica Michelotti, Piero Barducci, Ana Garcia, Petra Dzierzon, Antonio  Baglivo, Bruno Chiarlone, Domenico Ferrara Foria,  Melisa  Kaneshiro, Borderline Grafix, Maurizia Carantani, Emilio  Morandi, Adolfina De Stefani, Antonello Mantovani.  

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